C’era una volta un prato fatato all’ombra del Conturines e del Sas Dlacia, là dove Dio sembra essersi riposato un attimo tra le grandi cime che lo circondano, per fermare il tempo in una singolare eleganza. Il bosco, i prati ampi, il ruscello, un gruppo di cirmoli messi lì come da favola. Ma i cirmoli ora non ci sono più e il prato è stato munito di stradina asfaltata, c’è anche chi pensa che in un luogo tanto unico quanto raro ci starebbe bene qualche turista in più, perché la bellezza va sfruttata finché frutta. Magari una bella zona di espansione?
Interveniamo nell’ambiente nel nome di un’“ottimizzazione turistica”, quella che non nasce da un’analisi delle effettive necessità a lungo termine, da una visione, ma che è il risultato di un’”adrenalina da turismo” che ci fa credere che ogni intervento volto all’incentivazione della massa turistica sia giusto e anzi, necessario, e che per deviare dai centri turistici troppo esasperati sia una buona idea dislocare il turismo in quelle zone in cui ancora è troppo debole. Un’analisi che nasce all’interno di gruppi di interesse isolati, che non tengono conto della diversità di cui sono composte le comunità locali e quindi della diversità delle loro necessità, che ormai troppo spesso non coincidono più con quei presunti “bisogni” del turista. Un ragionamento che si basa su di una tesi molto sbagliata: “in fondo viviamo tutti di turismo”.
Una delle passeggiate più belle a San Cassiano in Alta Badia, era il pezzo di Tru di Lersc che va dalla vila di Rü a Rü Blanch/Glira (nr. 15A), un piccolo sentiero stretto, sulla costa sopra il paese, che in autunno si cullava tra l’arancione acceso, il giallo ocra quasi oro del grande lariceto. Ed era tutta una poesia quella panchina messa lì, a metà strada, dalla vista mozzafiato sul Valparola, il Setsas, lo Störes e dietro a chiudere il verso, la regina, la Marmolada. Dico era, perché da un anno a questa parte il sentiero non è più un sentiero, ma una grande strada larga due metri e mezzo. Dall’altra parte della valle, giù vicino al fiume, attraversato il ponte parte un altro sentiero bellissimo (nr. A9), ancora lastricato di pietre come si faceva una volta, ripido ripido, sul fianco del bosco dove i pochi raggi del sole che riescono a filtrare tra i fitti rami degli alberi fanno brillare il tanto muschio di un verde acceso quasi fosforescente. Il sentiero sbuca in un prato magnifico! Anzi no, scusate, un “fu prato magnifico”; da un po’ di tempo il prato è tranciato da una strada bianca, larga giusto tanto da far passare comodamente un camion carico di alberi che si sente fin giù in valle. Poco più in là c’è un altro sentiero (nr. 21), che si prende da giù, dal paese, lungo il fiume, all’insaputa di tutti quelli che ci passano davanti, perché l’imbocco è come un passaggio segreto che entra nel bosco e non te ne accorgi se non lo sai, io ci ho messo anni a scoprirlo. Sale stretto e ripido anche lui, si snoda tra gli alberi, il muschio e le pietre bagnate e penetra nel bosco ancora così vivo e puro. Anche questa ormai è storia però: da un anno, a circa 10 minuti dall’imbocco c’è in serbo una bella sorpresa che lascerà di stucco chiunque, un bell’imprevisto: una frana? No, è solo un’altra enorme strada che taglia il bosco orizzontalmente. Riuscire a salirci a piedi per attraversarla è un’impresa, e trovare la continuazione del sentiero dal lato opposto lo è altrettanto.
La voglia degli ultimi anni di sfruttare al massimo il grande potenziale turistico ancora “troppo poco” valorizzato, ha portato a un’“adrenalina da turismo”, ed è un déjà-vu sotto forma di brutto presagio: sarà troppo tardi voler tornare indietro quando ormai ci accorgeremo che le bellezze che avevamo, sono andate distrutte nel nome dell’industria del turismo. Ora che il tema è in voga se ne fa un gran parlare, come se fosse una novità, una nuova grande scoperta, ma io continuo a chiedermi: non è già evidente che se continuiamo così, ben presto ci saranno delle brutte sorprese e non solo da un punto di vista ambientale ma anche e soprattutto economico? Quel che manca è capacità di visione, quella capacità che distingue un bravo imprenditore da un imprenditore grande.
Tornando alla nostra Alta Badia, probabilmente ben presto sarà asfaltata anche la passeggiata lungo il fiume da Corvara a La Villa e già che ci siamo magari anche da La Villa a Corvara, così togliamo le bici dalla strada e anche le mamme con i passeggini saranno contente e in inverno le stradine potranno essere spalate in modo esemplare e così avremo ottimizzato di un nuovo un pezzettino di quella magia che avevamo e che stiamo perdendo, proprio quella magia che è la vera attrazione turistica e che stiamo disfacendo pezzo per pezzo. E poi magari asfaltiamo anche la strada che dal Pré de Costa porta alle Malghe Valparola, così ottimizziamo anche lì.
Al posto di costruire strade e tranciare boschi, dovemmo pensare a rendere i nostri paesi più belli e accoglienti per tutti, incentivandone la chiusura e l’ampliamento delle zone pedonali. Ci sono luoghi con delle ottime predisposizioni che non sono sfruttate, uno tra tutti San Cassiano: basterebbe la buona volontà per chiudere finalmente al traffico l’intero tratto di centro, senza necessità di grandi interventi; a volte poi basterebbe iniziare anche solo da una piccola parte, a La Villa ad esempio, davanti alla Ciasa dla Cultura, togliere almeno in parte le macchine dalla piazza andrebbe a renderla un luogo d’incontro e non di passaggio.
Se penso a sviluppo penso a un passo in avanti, a un miglioramento in senso lato, volto al bene comune. Non penso all’esasperazione degli ambienti a favore di una o due singole categorie sociali, che siano gli operatori turistici o i contadini poco importa. E in attesa di una presa di coscienza, intanto penso a cosa rispondere a mio figlio, quando passeggiando mi chiede: “Mamma, perché qui un giorno ci saranno tanti hotel al posto di grandi prati?”
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